Biografia

Nato a Venezia nel 1967 e laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Padova, Andrea Morucchio inizia l’attività di fotografo nel 1989. Dalla fine degli anni ’90 amplia la propria ricerca linguistica – sovente supportata da riflessioni di carattere politico-sociale – su diversi fronti, dalla scultura all’installazione, dal video alla fotografia, alla performance. Sue opere sono conservate presso il Museo del Vetro di Murano (Musei Civici di Venezia), il Museum of Old and New Art di Hobart (Australia) e la Provenance Collections (Tacoma, Usa).
Accostarsi al lavoro di Andrea Morucchio significa entrare in una dimensione creativa proteiforme – apparentemente disorientante, forse – che è andata costituendosi in un ampio orizzonte di ricerca: fotografia, scultura, installazione, video e performance sono, infatti, i mezzi che l’artista utilizza da più di un decennio in una continua sperimentazione di dimensioni espressive, esperenziali e creazioni di senso.

Se il primo medium d’elezione è stata la fotografia, dalla fine degli anni ‘90 Morucchio si è indirizzato a scandagliare le implicazioni spaziali della scultura partendo dalla realizzazione di una serie di opere in vetro e ferro (Blade ed Enlightenments) che nella loro relazione dinamica tra elementi antitetici raccolgono già uno dei nuclei principali e ricorrenti della sua poetica. Sono opere in cui si attivano differenti rapporti duali: vetro e ferro, fragilità e resistenza, trasparenza e ottusità della materia, mobilità ed immobilità, attivo e passivo;

Per certi versi la ricerca di una carica energetica dei materiali sembra avvicinarlo ad una sensibilità appartenente alle tendenze dell’Arte povera, ma Morucchio incanala le potenzialità della materia in forme rigorose, determinate e realizzate con estrema precisione avvalendosi di un lungo e complesso processo di lavorazione, che, tuttavia, non ne toglie l’anima ma, anzi, pare quasi condensarla o “custodirla”.

Si apre in tal modo un “catalogo” di immagini quasi archetipiche, sacre o rituali di forte valenza semantica, portatrici di un continuo confronto di forze: dalle traiettorie luminose dei cunei di cristallo delle sculture Enlightenments alle lame di vetro bloccate nel loro slancio frontale da barriere di metallo (Wave, 2001), sino ai levigati fasciami di giavellotti in vetro satinato tenuti insieme per “costrizione” da pezzi di camera d’aria (Accumulo, 2002).

L’interesse verso uno sviluppo della forma e della materia nello spazio viene ulteriormente approfondito negli interventi ambientali realizzati nel 2002 presso i Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia e nel 2003 in Australia per i Royal Botanical Gardens di Hobart. Percer-Voir sembra infatti essere l’evoluzione “ambientale” delle prime prove scultoree nella ricerca di uno spazio sensoriale e percettivo sempre più ampio e interagente con l’osservatore. La reiterata scelta dell’uso del vetro che caratterizza questa fase della produzione di Andrea Morucchio è determinata dalle proprietà specifiche del materiale: la trasparenza, la “mobilità”, gli effetti di smaterializzazione e dinamicizzazione determinati dai riflessi luminosi. Già nel titolo Perce-Voir, che gioca con i termini percepire, forare, vedere, ritorna quella esigenza linguistica, estetica ed etica insieme di aprire altre possibilità di percezione, di comprensione, di discernimento oltre le abitudini visive, sensoriali o intellettuali. Continua quindi la ricerca di Morucchio che tende a varcare l’apparenza o la consuetudine nelle dimensioni più diverse: innestando una serie di punte di vetro cristallo nel terreno di un prato o sullo specchio d’acqua di un lago, l’artista utilizza i riflessi della luce naturale – e dell’acqua – sulla materia vitrea per generare nuovi contesti d’esperienza in una direzione che sviluppi le proprietà emozionali e percettive del materiale, “aprendo” il campo visivo dell’osservatore ad una esperienza altra dello spazio.

Caratteristiche peculiari della materia che vengono piegate in senso strettamente metaforico in un’opera quale Iconoclasm (2003): la proprietà del vetro di assorbire la luce, imprigionarla e farne la propria essenza viene usata come metafora “visiva” dei meccanismi di formazione, affermazione e persistenza dei poteri totalitari – nazismo in primis – nei confronti delle masse assoggettate. E proprio l’impegno critico, politico e sociale costituisce uno dei punti di collegamento della eclettica prassi di Morucchio: dai riferimenti ai “supremi sacrifici” terroristici insiti nell’audiovideo installazione Le Nostre Idee Vinceranno (2002), realizzata nella Sala Rossa del Museo Mocenigo di Venezia all’installazione luminosa Pulse Red (Punta della Dogana, Venezia), segnale d’allarme per i rischi della congestione dell’informazione mass-mediale, dalla complessa opera multimediale Eidetic Bush, realizzata in Australia a Laudes Regiae (2007), installazione progettata nell’ex Convento dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca.
Nel 2003 durante la sua residenza presso la Tasmanian School of Art di Hobart in Australia con Eidetic Bush tocca, invece, uno dei problemi più urgenti della regione riguardante l’ingente distruzione di zone boschive dovute agli effetti del surriscaldamento globale e alle devastanti pratiche di disboscamento.

La capacità di relazionarsi e dialogare con il preesistente – sia che si tratti di un luogo, di una testimonianza storica o di un’opera d’arte – è uno dei punti di partenza per molta parte della produzione di Morucchio, come per Eidetic Bush, così anche per l’intervento di arte pubblica Pulse Red (2004) nel quale l’artista si mette in rapporto con l’architettura, la storia e il significato di un luogo-simbolo di Venezia come Punta della Dogana sul Bacino di San Marco.

Con uno dispiegamento minimo di mezzi raggiunge esiti di forte impatto scenografico convertendo il significato simbolico del luogo in una sua attualizzazione semantica.

Per diverse notti fa pulsare il Globo d’Oro di Punta della Dogana di luce rossa intermittente, trasformando la storico punto di convoglio delle merci e delle informazioni in un allarme, nel segnale del collasso del sistema comunicativo mass-mediale, che nel suo pulsare si manifesta emblematicamente la propria implosione e al contempo pare soffocare qualsiasi intelleggibilità.
L’utilizzo e l’oscillazione tra differenti mezzi espressivi sembra, a volte, inserirsi in un processo di creazione di diversi palinsesti che sovrapponendosi progressivamente determinano lo sviluppo di lavori di complessa concezione, come Emerging Code – nato dall’interazione di scultura e fotografia – ideato nel 2006, ma che ha i suoi prodromi in un lavoro fotografico realizzato nel 1994 nella Gipsoteca di Possagno (Gipsoteca). La lunga meditazione sull’opera di Antonio Canova, sui gessi in particolare, sfocia in Morucchio in un’interpretazione aniconica della stessa. L’artista si concentra sui punti de repère dei modelli canoviani; questi strumenti di codificazione per la traduzione nel marmo dell’equilibrio e la bellezza ideale, vengono isolati ed elaborati in forma di piastrelle di vetro dalla punta arrotondata, che divengono il modulo per la realizzazione di sculture di impostazione rigorosamente geometrica.

Il colloquio con la scultura canoviana funge anche da punto di partenza per il lavoro fotografico The Main Show, realizzato nel 2005 nel quale l’artista affronta il tema della spettacolarizzazione della religione cattolica in una sequenza di fotogrammi del modello in gesso della Pietà. Il gruppo scultoreo viene fotografato variando leggermente ad ogni scatto l’angolo di ripresa, la disposizione ravvicinata delle immagini in bianco e nero disposte in senso orizzontale riproduce l’effetto di una sequenza cinematografica che stringe sempre più l’inquadratura nel centro emotivo della composizione, enfatizzando la drammaticità del soggetto che viene, di fatto, “messo in scena”.

Una presa di posizione critica nei confronti della politica papale contemporanea e delle proclamazioni di nuove crociate “di civiltà” si esplicita in Morucchio nella installazione Laudes Regiae, realizzata nel 2007 nell’ex convento dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca. Una schiera di elmi rossi di vetro soffiato e satinato, realizzati sullo stampo di una celata a becco di passero del XIV secolo, viene disposta a terra nella sala del convento veneziano mentre si diffondono le Laudes Regiae, il coro per messa di incoronazione tratto dal Manoscritto di Bamberg (XI secolo); sulla parete dinnanzi agli elmi i profili sintetici del Passauer Wolf – che veniva punzonato sulle spade medievali – pulsa ad intermittenza, come la pericolosità dell’uomo per l’uomo, quell’istinto di sopraffazione apparentemente mai pago, che lo rende oppressore e carnefice di se stesso (homo homini lupus) nella continuità nel tempo e negli eterni ritorni della storia.

Aspetto, quest’ultimo, affrontato anche nella video-audio proiezione Verso il Paese dei Fumi e delle Urla, realizzata a Venezia nel 2008 per le celebrazioni del Giorno della Memoria. Decine e decine di immagini dei simboli che, cuciti sulle vesti, marchiavano gli internati nei campi di concentramento nazisti: – gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, le prostitute o i comunisti – vengono proiettati sulla facciata di un edificio nel cuore della città. La stella a sei punte o il triangolo isoscele di diversi colori assemblati e allineati, riprodotti nei minimi dettagli, ricompongono un atroce atlante dell’inumano, della discriminazione e della violenza, mentre scorrono i brani musicali di Nono tratti dalle musiche di scena di Die Ermittlung di Peter Weiss. Un patchwork di pezzi di stoffa, i cui colori, i ricami, la trama del tessuto, fungono da ingannevoli richiami; distanti dalle immagini in bianco e nero delle testimonianze storiche, appaiono ad un primo acchito quasi innocui, paiono affascinare o incuriosire così come continuano ad esercitare e moltiplicare la propria fascinazione la xenofobia, la discriminazione dell’altro, del diverso e delle minoranze.
Soprattutto per quanto riguarda la produzione video, i temi che Andrea Morucchio sviscera sono strettamente di carattere politico e sociale: il fulcro del lavoro stesso pare consistere nella questione urgente da affrontare e il video sembra, quindi, essere per l’artista il mezzo più immediato ed incisivo: da Sabato italiano (2004) a Talk Show (2005), a Tracciati esistenziali (2008) scanditi, quest’ultimi, dalle frenetiche traiettorie di un gruppo di formiche che vengono utilizzate come metafora dei nostri sconsiderati ed eterodiretti percorsi d’esistenza.

Laura Poletto